giovedì 19 luglio 2012

ESERCIZIO DELLA GIUSTIZIA. MEDIAZIONE, LUCI E OMBRE

Da pochi giorni è diventato obbligatorio, anche per le controversie in materia di condominio e risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, l’istituto della mediazione. La normativa è stata istituita per legge, per dirimere liti senza ricorrere alla giustizia ordinaria, per evitare i costi sempre più ingenti dei processi. Non si tratta di un giudice o di un arbitro, ma di un professionista, appositamente formato, a cui viene affidato l’incarico di trovare, in un tempo massimo di quattro mesi, una soluzione condivisa dai soggetti in causa.
Questa riforma, epocale sotto molti aspetti, obbliga le parti che stanno per dare avvio a una lite, a esperire il tentativo di conciliazione prima di introdurre il giudizio. L’obiettivo del nuovo ordinamento, emanato su sollecitazione dell’Unione Europea, è volto a favorire l’introduzione nei sistemi giudiziari degli stati membri, di strumenti di risoluzione delle controversie alternativi alla giustizia ordinaria. Gli ambiti di applicazione sono molteplici, dalle successioni ereditarie, ai patti di famigli, agli affitti, per arrivare ai risarcimenti danni. Il procedimento si svolge presso gli “organismi di mediazione”, enti pubblici o privati, iscritti nel registro tenuto presso il Ministero della Giustizia, che erogano il servizio di mediazione nel rispetto della legge, del regolamento ministeriale e del regolamento interno di cui sono dotati, approvati dal Ministero. Cosa importante: le parti devono anticipare le spese di avvio del procedimento e pagare le spese di mediazione.
Sono comunque già emerse alcune criticità di fondo che hanno reso complicato e controverso il cammino della riforma. Alcune si riferiscono alla coerenza dell’intero impianto con il nostro sistema giurisdizionale e, più in generale, con la tutela dei diritti fondamentali degli individui garantiti dalla Costituzione. Tant’è vero che alcune anomalie sono state ritenute fondate da Tar e tribunali, e che c’è un giudizio pendente presso la Corte Costituzionale. Le eccezioni principali rimarcano l’insostenibilità di una procedura che è obbligatoria, e non solo alternativa alla giustizia ordinaria, svolta da mediatori che possono essere sprovvisti di competenze tecniche e giuridiche, ed estesa anche a materie complesse.
Tutti i giorni si sentono e si leggono pubblicità, che vendono corsi per diventare mediatori. In questo momento di crisi è un’opportunità più che legittima da ricercare, ma un minimo di controllo da parte delle istituzioni sarebbe auspicabile. Molto preoccupante è l’aspetto che riguarda le spese, che possono raggiungere importi molto alti. Non è da escludere che nei casi più gravi, quelli caratterizzati da costi di lite molto rilevanti, l’accesso alla giustizia possa risultare complicato per non dire impedito a quanti non abbiano la possibilità di anticipare le spese dovute per la mediazione. C’è il pericolo di trasferire sulle parti più deboli l’onere più gravoso della riforma, di fatto rendendo più difficile, anche sotto l’aspetto meramente economico, il poter esercitare i diritti.
È vero che di questo si occuperà presto la Corte Costituzionale, che potrebbe favorire alcuni correttivi tecnici. D’altra parte l’obiettivo del legislatore è pienamente condivisibile. In Italia pendono oltre cinque milioni di cause civili e per arrivare a sentenza di primo grado occorrono mediamente cinque anni. La classifica della Banca Mondiale per la durata dei processi pone il nostro paese al 156° posto su 181 paesi; ci seguono solo Afghanistan, Suriname, Gibuti e Bangladesh.
Per questa ragione l’Italia è sanzionata quasi quotidianamente dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: i processi hanno una durata irragionevole e procurano, per questo, un danno ai cittadini che frequentemente ottengono giustizia quando spesso non serve più, o addirittura non sono più in vita. Anche i consumatori hanno manifestato perplessità, sostenendo che si tratta di una “soluzione palliativa”. C’è il rischio che, come è successo per le liberalizzazioni, sia un modo per cambiare apparentemente tutto, lasciando però le parti deboli della società sempre più in difficoltà.
La conciliazione, se correttamente intesa, diventa una componente dei processi di miglioramento del welfare e del vivere civile in genere. È su questo aspetto che sarà importante il controllo dell’istituzione anche locale.
Massimo Cingolani
(articolo da ArcipelagoMilano.org n.27/ IV)

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